Nell’estate 1576 la peste, ricordata come “Peste di san Carlo”, aveva invaso il Ducato di Milano: le autorità civili spagnole nominarono responsabile straordinario dell’ordine pubblico per il territorio della pieve di Gorgonzola nientemeno che Gabrio Serbelloni, personaggio straordinario e di primo piano che conosceva benissimo la realtà locale per avere una grossa possessione a Gorgonzola.
Il Presidente e i Conservatori della Sanità dello Stato gli indicarono le modalità di profilassi dell’intervento sul piano sanitario, consistenti in primo luogo nell’obbligare gli abitanti infetti e sospetti di peste di lasciare le proprie case per andare “in cabanne di paglia a la campagna” in un sito appropriato “che sia imminente circondato da fossi … et con l’acqua vicina … imponendo, pena la vita a quelli che saranno ne le gabanne, se tentassero di uscire”. “ Occorreva poi spogliarli “affatto de tutti i panni c’haveranno indosso, et lavare le persone loro molto bene vestendoli poi d’altri panni non infetti, et far brusare tutte le robbe de la casa ov’essi hanno praticato”. Il compito di bruciare le suppellettili e fumigare le case prima del rientro dei sopravvissuti, era affidato ai monatti, carcerati, condannati a morte o persone già guarite dal morbo; questi dovevano rispettare la proprietà altrui e le trasgressioni potevano essere punite con la morte.
I borghi vennero chiusi da cancelli di legno e presidiati da archibugieri: venne interrotta la navigazione sul naviglio e impedito qualsiasi spostamento verso Milano. Ovviamente ogni intervento straordinario aveva dei costi per cui i poteri di Gabrio Serbelloni furono estesi al reperimento dei capitali necessari ai bisogni della gente che si era immiserita a causa del blocco dei commerci tra contado e città, e anche per gli oneri del sostentamento dei soldati e civili incaricati a gestire la situazione eccezionale. Si rese necessaria l’imposizione di “gravezze”, ovvero tasse, onde “far costringere tutte quelle terre et particolari che sarono residenti a contribuir per la loro portione alle sudette spese procedendo con quello rigore che gli parerà conveniente”.
Un tale concentramento di poteri e i necessari modi spicci per ottenere l’obiettivo del mantenimento dell’ordine pubblico determinarono le proteste di un altro personaggio della zona, il conte Trivulzio, che contestava l’autorità del Serbelloni sul suo feudo di Melzo.
Fonte: Fabrizio Alemani, in Storia in Martesana, n.3, 2010.
Qualche problema sopraggiunse anche dal cugino di Gabrio, il cardinale Carlo Borromeo: in una lettera, datata febbraio 1577, conservata nell’archivio Sola Busca, fondo Serbelloni, il governatore Ayamonte lamenta che le processioni organizzate dal prelato contribuivano a diffondere il contagio, senza che le autorità potessero intervenire contro la demagogia del Borromeo.
Finita la peste, Gabrio Serbelloni torna subito agli amati campi di battaglia. Tra il 1577 e il 1579 partecipa alla guerra di Fiandra con molto onore, conquistando la città di Maastricht. All’età di settant’anni torna definitivamente a Milano per morirvi nel gennaio dell’anno successivo
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